LA CASA DI RESIDENZA COMUNE DELLA COPPIA CONVIVENTE

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Un aspetto molto sentito nelle coppie che convivono è quello della disponibilità della casa di residenza comune, qualora essa sia di proprietà esclusiva di uno solo dei conviventi. Per costoro, infatti, non esiste una norma come per i coniugi (art. 143 c.c.), per la quale “dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”, con la conseguenza che al coniuge non proprietario, tenuto all’obbligo di coabitazione, deve riconoscersi il diritto di abitare nella casa familiare di proprietà dell’altro coniuge. Il convivente, invece, non matura alcun diritto sulla casa di residenza comune se essa è di proprietà del partner, e se l’unione dovesse rompersi rischia di rimanere senza un “tetto”. A questa situazione di debolezza del convivente non proprietario si può ovviare attribuendogli:

•          un diritto di comproprietà sulla casa adibita ad uso comune;

•          oppure un diritto reale di godimento (usufrutto o abitazione) sulla stessa (destinato a durare vita sua natural durante); diritto quest’ultimo che può essere riconosciuto ai conviventi congiuntamente, anche eventualmente con reciproco diritto di accrescimento (per cui alla morte del primo dei due il diritto reale dell’altro si può estendere all’intero bene).

Gli strumenti per realizzare questo obiettivo sono:

•          la donazione

•          la cessione a titolo transattivo previo riconoscimento dell’indebito arricchimento

•          la cessione a titolo oneroso previo riconosci-mento di debito

•          l’adempimento di obbligazione naturale

In alternativa al trasferimento di un diritto di comproprietà o di un diritto reale di godimento si può efficacemente ricorrere, a tutela del convivente non proprietario e di eventuali figli nati dal rapporto, ad uno degli atti programmatici:

•          la costituzione di vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c.

•          il trust

Sono atti con i quali la casa di residenza comune viene sottratta alla piena e libera disponibilità del proprietario, per essere destinata a far fronte ai bisogni della vita insieme. Ulteriore alternativa è rap-presentata dal contratto di convivenza.  Nel caso in cui l’abitazione comune non sia di proprietà di uno dei conviventi, ma sia oggetto di un contratto di locazione, la Corte Costituzionale ha riconosciuto al convivente more uxorio, in presenza di prole naturale, il diritto di subentrare nel contratto di locazione non solo nel caso di morte del partner conduttore dell’immobile, ma anche quando questo abbia la-sciato l’abitazione per la fine del rapporto. Una specifica tutela è stata, invece, di recente prevista per i figli nati fuori dal matrimonio. La cessazione della convivenza, infatti, è stata equiparata alla separa-zione, allo scioglimento, alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. In tutti questi casi il godimento della casa di residenza comune è attribuito, dal giudice, tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Tuttavia il diritto viene meno nel caso in cui il genitore assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa di residenza comune o con-viva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.