QUANDO GLI EVENTI COSTRINGONO A RINEGOZIARE I CONTRATTI

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Quando le circostanze cambiano in maniera drastica come siamo stati abituati di recente, rinegoziare il contratto è diventato un’esigenza sentita da molti.

Ma cosa si intende per rinegoziazione e quando è possibile utilizzarla? Vediamolo nel dettaglio.

La rinegoziazione è la trattativa con la quale si ridiscutono i fatti ratificati e controfirmati in un precedente accordo contrattuale: si interviene esclusivamente su alcune clausole del contratto in essere con un incontro volontario delle parti, generalmente senza stipulare un nuovo accordo.  Tale pratica, viene presa in considerazione, innanzitutto quando parliamo di un contratto ad esecuzione continuata, ovvero un contratto stipulato molto tempo prima della sua attuale esecuzione. Tra questi spicca il contratto di locazione ad uso commerciale poiché, in un tale accordo, è evidente che nella fase dell’adempimento è obbligatoria la persistenza del medesimo equilibrio posto in essere al momento della stipula contrattuale. Quando questo equilibrio scevra, si incorre nel rischio di inadempimento e di risoluzione.

Nella locazione ad uso commerciale i nuovi accordi che costituiscono la rinegoziazione devono essere prodotti sotto forma di scrittura privata, che va ad allegarsi al precedente contratto, solo ed esclusivamente per determinate clausole. Si tratta generalmente di quelle riferite al prezzo del canone e alle modalità e tempistiche di pagamento.

Quando la rinegoziazione segue un cambiamento nel prezzo del canone, il locatore deve ottenere un ricalcolo delle imposte dovute. La nuova tassazione deve essere calcolata in funzione della cifra rinegoziata e quindi effettivamente riscossa.

Per contenere l’epidemia di Covid-19 il Governo italiano ha dovuto adottare misure straordinarie, come la sospensione di attività professionali, che hanno prodotto pesanti ripercussioni sulle attività di impresa.

Per agevolare le attività commerciali che hanno subito perdite, il governo ha emanato l’articolo 65 del D.L. 18 marzo 2020, detto Cura Italia, riconoscendo un credito d’imposta del 60% del costo del canone di locazione di negozi e botteghe, ossia di tutti gli immobili che rientrano nella categoria catastale C1. Questa norma ha però di fatto lasciato fuori magazzini, uffici e anche i laboratori degli artigiani. Sempre nel decreto Cura Italia l’articolo 91, con un nuovo comma 6-bis dell’articolo 3 del DM 23 febbraio 2020, ha tutelato il comportamento del debitore durante i mesi pandemici, di fatto non considerato inadempiente a causa della straordinarietà del momento.

In questa situazione di emergenza, il conduttore può, secondo l’ordinamento giuridico, richiedere lo scioglimento del contratto di affitto commerciale, esprimendo il recesso per gravi motivi, secondo l’art.7 della legge 392 del 78, oppure richiedere una risoluzione contrattuale per impossibilità o eccessi-va onerosità sopravvenuta.

La strategia migliore da adottare per entrambe le parti resta comunque l’accordo consensuale. Se il locatore accetta un canone più basso ottiene l’indubbio vantaggio di ricevere sicuramente il denaro.